09/03/2023 – Ciao, nascita di quattro tavole
Quando viene chiesto a chi fa questo mestiere di mostrare il processo creativo, saltano fuori i taccuini: è quello che succederà anche in questo post, senza sorprese.
Ma per raccontare questa storia e questo processo creativo devo anche condividere un po’ di esperienza personale, perché le quattro tavole nascono proprio da lì e attingono alla quotidianità che appartiene a molte di noi, in misura e con frequenza variabile.
Di cosa parla la storia?
Durante i corsi per la scrittura e la narrazione viene dato il suggerimento di partire dal proprio vissuto: esperienze personali, passioni, argomenti che interessano a chi scrive. A noi esseri umani capitano cose nella vita e ognuna di queste può essere uno spunto di partenza per una storia che magari ricalcherà la nostra avventura, magari verrà rielaborata in altri tempi e in altri luoghi o magari diventerà altro ancora (non è bellissimo e vertiginoso, tutto questo?!).
La storia che ho scritto in queste tavole è successa a me (e chissà a quante altre) ed è andata proprio come l’ho rappresentata.
Ho pubblicato la storia in due post su Instagram qualche mese fa (non avevo ancora messo in piedi la parte blog del sito, l’esigenza è nata proprio in seguito al brutale spezzettamento di questo fumetto per farlo stare nel formato IG) e poi è stata adottata da Collettivo Moleste per la sua zine SMACK n. 0.
Si tratta di un formato breve, appena 4 tavole come già scritto, e il racconto riguarda un saluto per strada da parte di un uomo, una mancata risposta da parte di una donna e tutto quello che c’è stato prima e che ci sarà dopo.
La si può leggere per intero in questa pagina del sito.
La parte difficile
Il pensiero di fare una mini storia a seguito dell’accaduto è nato nel giro di qualche giorno, quando mi sono accorta che stavo combattendo con una scia bavosa di sensi di colpa e disagio -e questo non era per niente giusto. Non capivo come mai tuttavia, visto che non era certo un fatto inedito nella mia vita (e non solo nella mia)… E in questa considerazione ho trovato una prima pietra d’inciampo.
Ho deciso di indagare un po’ oltre il limite del pensiero, cercando nuovi di vista attraverso il linguaggio grafico per comprendere quali meccanismi mi stessero appesantendo così tanto lo stomaco.
A volte si ha subito la fortuna di trovare il filo capace di mettere in ordine tutte le parole e scorrere meravigliosamente, arrivando dritto al punto; non è stato questo il caso…!
Rileggendo più e più volte la prima stesura per correggerla e aggiustarla mi trovavo a essere ancora più arrabbiata e giudicante verso me stessa per aver permesso che il tutto si fosse svolto secondo regole decise da altri. Mi rivedevo spettatrice passiva, invece io non volevo rimanere in quella posizione.
Come arrivare al risultato cercato?
Con diversi gradi di furia ho riscritto e rimaneggiato i testi, tagliando di volta in volta i pezzi inutili in favore della parte soda e succosa della questione: cosa mi stava dando così fastidio? Di cosa volevo parlare? Del fatto in sé, lasciando a lettori e lettrici le proprie considerazioni, oppure volevo cercare ancora più a fondo?
Volevo limitarmi a narrare qualcosa che accade su base quotidiana? Di come sul piatto della bilancia sia tutto normalizzato, ma ciò non impedisca di sentirsi a disagio? Sì, ma non solo.
Avvertivo la necessità di raccontare anche della parte sistemica relativa all’accaduto; di tirare in ballo la pietra d’inciampo di cui sopra.
…Da dove parte l’episodio?
Da indietro, molto indietro.
Giorni interi a rigirare attorno alle parole:
Paternalista
Pater-nalista
Educazione
Mal-educata
Ben-educata (Bene, male, a cosa sono relativi?)
QUASI
Era la forma a non andare bene.
Pensando e ripensando mi ero accorta di aver sofferto il non poter ribattere sul momento -obbedendo a quell’istinto acuito che porta ad allontanarsi da potenziali guai o rotture di coglioni che potrebbero peggiorare (una serie di motivi che molte di noi avranno ben presente). Avevo agito bene e lo sapevo, ma mi era rimasta l’amarezza del non aver fatto sentire la mia voce.
Non doveva essere, quindi, una semplice esposizione dei fatti (sai che novità), doveva essere uno spazio per parlare, uno spazio finalmente sicuro: ho cercato quella voce, quella risposta mancata e ho immaginato una risposta postuma, disegnata: una lettera, in realtà, dove spiegavo tutto.
“Tutto tutto?”
“Tutto tutto.”
E come Chunk in quella famosa scena de I Goonies, mi sono lanciata a cercare nel passato ed elencare varie situazioni che come radici di pianta velenosa continuano a infestare la vita di oggi.
La lettera ha preso forma subito, i disegni hanno seguito a ruota.
Come materiali ho scelto pennino e china, pennello e acrilico.
Le tavole sono storte, non squadrate, rattoppate, sbianchettate; volevo fossero materiche e dense e un po’ tremolanti, volevo fossero l’equivalente grafico di quei bigliettini stizziti che si trovano sui parabrezza delle auto parcheggiate con arroganza nei posti dove a qualcun altro crea disagio: molto probabilmente il destinatario li getterà a terra e sgommerà via senza che nulla cambi nella sua vita, ma sono pronta a scommettere che il mittente si sia sentito meglio dopo averli scritti.
Ho pensato spesso di ridisegnarle per amor di disegno e di precisione? Certo che sì!
Il fatto che guardandole io ci ritrovi tutto il turbine di pensieri di quei giorni, però, mi fa pensare che alla fine vadano bene così. Hanno incisa la mia voce sopra.